Tribùlassiun
Missione Compiuta
Un po’ di storia
Abbiamo una fortuna.
In quel del Piantonetto abbiamo una architettura alpina tra le più belle che si possano immaginare.
I Becchi della Tribolazione.
E soprattutto, tra questi, il Becco Meridionale della Tribolazione.
Visione affascinante per qualunque alpinista: un invito e una provocazione a salirvi.
Non a caso la sua gigantografia è esposta al Museo delle Alpi di Bard.
In particolare, la parete est del Becco Meridionale della Tribolazione è tra le più belle immagini di alta montagna di tutto il gruppo del Gran Paradiso: una visione mozzafiato.
Questo apprezzamento non riguarda solo gli alpinisti, ma tutte le persone che, per qualunque motivo abbiano occasione di osservarla.
Il Becco Meridionale della Tribolazione, nel suo versante sud-est, è già visibile dalla strada statale che porta a Ceresole appena all’uscita dall’abitato di Locana, anche se, da così lontano, non se ne percepisce tutta la bellezza.
Poi si sale da Rosone al Piantonetto, e questa montagna affascina sempre di più.
Naturalmente, nella prima metà del secolo scorso, la gran parte dei Pontesi ne ignorava l’esistenza: fu solo grazie alla illuminata scelta dei componenti del Club Alpinistico Pontese di costruire il Rifugio Pontese al Teleccio che si scoprì il fascino di questa bellissima montagna.
Adesso, si potrebbe quasi dire che il Becco –la Bècca, come diciamo sovente noi- sia la montagna a cui i Pontesi siano più affezionati. E non a torto.
Durante tutti gli anni ’50 e ’60 in cui si costruì il Rifugio, la Bècca era lì; sopra le nostre teste, a controllare il nostro operato: E noi eravamo lì, a guardarla e a sognare di salirci in vetta.
Un grande amore.
I Pontesi
Ricordiamo gioiosamente i tempi della costruzione del Rifugio Pontese: anni 1957-1967, a cui tutti i Pontesi, alpinisti e non, parteciparono, direi in modo “corale”.
Era la Grande Avventura alpina di Pont.
E molti pontesi, anche del tutto digiuni di montagna, salirono al Teleccio “a dare una mano”.
Quindi, un po’ per volta, ecco che qualche pontese, anche non alpinista, magari accompagnato da persone più esperte, sempre pontesi, cominciò ad avvicinarsi idealmente al desiderio di conquistare questa bella montagna.
Poteva quasi dirsi che il premio per il tanto lavoro svolto per la costruzione del rifugio fosse proprio riuscire a raggiungere la vetta della Tribùlassiun, grazie alla guida di qualche certamente affidabile compagno di scalata.
Tra gli alpinisti accompagnatori di questi poco provveduti “scalatori” si deve per forza ricordare il carissimo Carluccio “Cassùl”, che lassù tanti ne accompagnò, riportandoli poi sempre “a casa”.
Naturalmente, la salita non avveniva per la parete est, ma per la più addomesticabile cresta sud-sud- ovest, non scevra comunque di tutti gli elementi e le difficoltà di una media scalata di alta montagna. Parliamo di difficoltà sul III° grado, affrontate con i classici scarponi in vibram.
E così, proprio per le relativamente tante persone che, bene o male (molte volte piuttosto male), riuscirono a salire lassù, addirittura la vetta perse un po’ del suo fascino
Restava comunque un grande sogno per chi non vi era ancora salito.
La storia continua
Anch’io, piuttosto giovane, dopo aver partecipato alla costruzione del primo nucleo del rifugio, ormai prossimo all’inaugurazione ufficiale, anelavo alla conquista della vetta della Tribùlassiun, ma …. nessuno al momento si era offerto di accompagnarmi.
Cosa fare?
Mai perdesi d’animo!
Nell’estate del 1966 ero al rifugio con un gruppo di amici, tutti pontesi studenti come me, a cui la direzione del CAP aveva permesso di soggiornare lassù.
Si tratta dello stesso anno e degli stessi amici con cui si diede il nome alla Valletta dei Principi, ricordata in altro scritto del sito.
Forse fu per il coraggio determinato della giovinezza, o per chissà quale altra spinta prepotente dell’animo, che mi decisi di salire, in qualche modo sulla punta della Tribùlassiun.
Non ero un alpinista esperto, ma, come disse quel famoso alpinista: “dove c’è una volontà, c’è una via”.
E così mi incamminai.
Da solo!!
I timori erano tanti.
Chissà se sarei riuscito? Non avevo informazioni molto precise; sapevo solo che si doveva andare al Colletto dei Becchi, e di lì cominciare a usare le mani per arrampicarsi sulla cresta, che si diceva fosse abbordabile anche da un dilettante come me.
E così arrivai al Colletto dei Becchi.
Fin qui, tutto bene.
E adesso? Da dove passare?
Niente paura. Avevo con me la Guida del Gran Paradiso, con il segnalibro già posizionato all’incirca all’itinerario di salita.
Cominciai a leggere, scegliendo per la salita la strada che sembrava più facile. L’itinerario deciso fu per la parete nord-ovest che sulla guida è segnato come n. 145da .
Con estrema cautela mi avviai e, passo dopo passo, raggiunsi la vetta.
Più che per la soddisfazione di essere salito in punta, lassù la mia sensazione dominante fu di forte emozione e batticuore. Mai fatto niente del genere.
Quindi, con grande trepidazione ripresi la via del ritorno.
segue:
Passarono due anni, e nel frattempo cominciai a praticare l’alpinismo un po’ più seriamente; così nell’estate 1968 risalii ancora sulla vetta della Bècca: ma questa volta per la parete est.
A quei tempi tutti parlavano, con estremo rispetto e alta considerazione, della via per lo sperone centrale, aperta dai valenti Garzini, Graziano e Malvassora: indicata semplicemente come “via Malvassora”, che risolveva in modo sostanziale il problema della parete est.
Nessun Pontese al momento vi era mai salito: quindi ci voleva qualcuno che ci provasse.
Che fosse “il primo di Pont”.
Così, in quell’estate la salii ben due volte: la prima in compagnia del fortissimo Giorgio Tondella; e poi, da capocordata con due cari amici anch’essi Pontesi .
Grande soddisfazione, all’epoca!
Poi, altri Pontesi continuarono con merito in questa nuova dimensione dell’alpinismo locale: non solo più la vetta, ma un percorso più gratificante anche dal punto di vista arrampicatorio.
Malvassora: passaggio duro
E si va avanti.
Passano gli anni.
E la parete est della Bècca è ora ricca
di molteplici itinerari, non certo alla
portata di tutti. Solo i migliori si
confrontano in queste scalate
certamente prestigiose.
Ci sono adesso talmente tante “vie”
che penso sia difficile aprirne ancora
di nuove: ma il futuro non è scritto da
nessuna parte…
E nel futuro ci sarà spazio non solo
per questi nuovi arrampicatori
estremi.
Ci sarà ancora e sempre chi sognerà di salire in punta al Becco anche solo per la “via normale”, e a questo sogno dedicherà molte energie:
perché i sogni non hanno “gradi di difficoltà”.
Elena
Anche Elena aveva questo sogno.
E così, accompagnata da un
caro Amico,
“Angelo Custode” d’eccezione,
in quel del 3 settembre 2016
inondato di sole raggiunse la
Vetta del Becco.
Con le proprie forze e capacità,
senza farsi “tirar su”.
La sua prima vera ascensione
di alta montagna,
realizzata su una così
affascinante “nostra” vetta alpina.
Soddisfazione enorme.
E soddisfazione enorme anche per me, che esattamente 50 anni dopo la mia prima salita,
vedo rinnovarsi questo rito di salire il Becco Meridionale della Tribolazione da mia figlia: da
una nuova generazione, a cui passo felicemente il testimone.
Possiamo dire: MISSIONE COMPIUTA!!!