Qui si tratta di Sapienza Antica

 

 

 

 

Le nostre vallate alpine

sono sempre state molto povere economicamente per la mancanza di una morfologia del territorio in grado di permettere uno sviluppo agricolo agevole e più simile a quello della pianura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I fianchi delle montagne sono particolarmente scoscesi,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e solo in più alta quota esistono

dei pascoli degni di essere chiamati tali:

ma in alta quota le stagioni temperate sono brevi,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e il gelo fa sovente incursioni anche nella stagione più calda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Solo la grande tenacia dei nostri avi ha permesso che la vita umana persistesse nelle sperdute località di montagna

delle nostre vallate,

con una economia di sussistenza che ancor oggi ha dell’incredibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’era niente. Tutto era affidato alla capacità dei singoli di ricavare da questa aspra natura quel poco che permettesse di sfamarsi: qualche gallina, due capre; una mucca per i più fortunati;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

un orticello con un po' di tutto; un po' di erba e fieno, per le bestie, tagliato con la "mussòira"

su delle rive incredibilmente verticali e pericolose alla

frequentazione, per non patire troppo le carestie invernali.

 

 

 

 

 

 

 

Se, per qualunque motivo, la mucca moriva, era messa in seria discussione la sopravivenza dell’intero nucleo familiare.

 

 

 

 

Eppure, per chi non ha niente, la montagna è sempre stata una grande madre.

“Come Dio vuole” in qualche modo la vita in montagna è comunque continuata, seppur con grandi stenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma le grandi carestie, sia in pianura che, fatte le debite proporzioni, anche in montagna, hanno potuto essere scongiurate solo con l’arrivo e l'utilizzo della patata (XVIII sec.).

Prima della patata, le maggiori fonti di sussistenza in montagna erano un po’ di latte, grazie agli animali domestici, e la coltivazione della segale, il miglio, l'orzo e il grano turco (dal cinquecento), resistenti anche in habitat montano, e, Miracolo!!!,

 

 

 

la CASTAGNA

frutto inizialmente spontaneo, che sfamò molteplici generazioni.

 

Forse, -molto probabilmente- senza la castagna, la sopravvivenza in montagna sarebbe cessata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco quindi il grande rispetto con cui ci si

 

rapportava a questo frutto ,

 

non solo per il consumo in stagione autunnale,

 

ma per la possibilità di usufruirne per l’intera

 

annata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Certo, erano necessarie operazioni un po’ inusuali, ma alla fine il

 

risultato era soddisfacente: della castagna ( e pure del castagno)

 

si utilizzava tutto, grazie all’ingegnosità dei

 

nostri avi, che sempre fecero “di necessità, virtù”:

 

con la fame non si scherza!

 

 

 

 

 

 

Voglio qui presentare un “rituale” di cui ogni tanto

 

si sente ancora parlare,

 

ma a cui pochi hanno potuto assistere,

 

pur essendo un momento del tutto normale nella vita e

 

nell’economia dei nostri villaggi alpini

 

fino a pochi decenni fa.

 

 

 

 

 

 

Sottolineo l’aspetto “rituale” di questa attività, in quanto era partecipata da tutta la comunità del borgo, e, se il risultato fosse stato ricco, si poteva meglio sperare nel prosieguo meno aspro della stagione, in attesa dei nuovi raccolti estivi.

 

Mi riferisco al momento della “Pista” delle castagne, che poi, finalmente liberate dalla buccia, venivano conservate per tutto il resto dell’anno e che, nel classico “lèt e castegne” rappresentavano il piatto più scontato per sfamarsi.

 

Un momento magico e solenne.

 

Le riprese fotografiche con cui viene illustrato l’evento sono state fatte in borgata Lùtta, circa 30 anni fa -gennaio 1979- ospiti della famiglia di Giulio Bausano, e naturalmente con la partecipazione di tutti gli abitanti della borgata.

 

Vediamo quindi come avveniva la lavorazione della castagna.

 

Per prima cosa, in autunno, le castagne, liberate dallo spinoso abbraccio dei ricci,

 

 

venivano poste a seccare in tipici locali, appositamente attrezzati con un graticcio,

sotto il quale si accendeva un fuoco

 

lento e fumoso che aiutava

 

nell’essicazione: “la Cà dla Gràa” .

 

 

 

 

 

 

 

 

A gennaio poi -e magari anche prima, quando completata l'essicazione di tutto il raccolto-, si preparava il cortile davanti a casa per procedere alla sbucciatura delle castagne.

Il procedimento è veramente interessante, e frutto di un ingegno non sempre immaginabile, dato il suo svolgimento in ambiente montano.

 

 

 

 

Ovvero, i nostri antenati su certe cose la sapevano lunga e... c’è sempre da imparare!

 

Nel giorno prestabilito l’atmosfera è serena e festosa: non manca nessuno , neanche il cane Bill, anche lui curioso per l’insolito assembramento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A sovraintendere alla cerimonia, ci pensa Giulio,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

coadiuvato dal Celeste,

 

anche lui esperto della questione,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e sotto il “controllo critico” del Pero,

 

famoso barger a La Thuile nei tempi della

 

giovinezza.

 

 

 

 

 

 

Vediamo dunque come avveniva l’operazione di sbucciatura delle castagne secche.

 

Per prima cosa si disponevano a terra due robusti tronchi di legno, sui quali si appoggiava un asse, altrettanto robusto, ma dotato di una certa elasticità.

 

Quindi sull’asse stesso si sistemava la “Pista”.

 

 

 

 

 

 

 

La Pista, proprietà congiunta di tutti gli

 

 

abitanti della borgata, non è altro che un gigantesco

 

 

 

tronco preso alla base, cioè nel punto dove il diametro

 

 

è maggiore, e poi scavato all’interno a semisfera, in cui

 

 

si pongono le castagne da sbucciare.

 

 

 

 

 

L’operazione di sbucciatura avviene mediante speciali

 

attrezzi: i “Pistun”, composti da ruvide “dita”

 

di ferro e manico in legno, che vengono manovrati da

 

due persone, salite anch’esse sull’asse di supporto della

 

Pista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I due uomini inseriscono alternativamente il loro

 

Pistun nella pista,

 

 

 

 

 

 

 

 

e i veloci e ritmici movimenti fanno flettere e

 

rimbalzare l’asse, che così aiuta nell’estrazione del

 

pistun,

 

 

 

 

 

 

 

e nel contempo il sobbalzo imprime un

 

movimento rotatorio alle castagne contenute

 

nella pista, in modo che tutte indistintamente

 

passano sotto i feroci colpi delle lame di ferro

 

e vengono così private della buccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ un momento di grande suggestione, in cui il rumore

 

ritmico prodotto dai pistun e dalle castagne

 

che vengono colpite e rivoltate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ci estraniano dalla

 

nozione temporale e spaziale contingente,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

per farci partecipare di una spiritualità emozionalmente

 

magica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lavoro è assai faticoso, per cui sono necessarie pause

 

 

frequenti:

 

e così ecco che anche Dario, il figlio di Giulio,

 

 

può cimentarsi nell’azione,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

accompagnandosi con il papà ,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

con Celete,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e pur anche con il Pero, anche lui, irresistibilmente

 

affascinato dal rituale antico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E così le castagne sono perfettamente sbucciate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta ora di separare la buccia dalla castagna

essiccata.

 

E anche qui si interviene con una manovra

 

tipica, utilizzando uno specifico strumento:

 

il “Val”.

 

 

 

 

 

 

 

Il Val è un cesto speciale, con un bordo

 

degradante, che qui vediamo venir

 

riempito da Nella, la moglie di Giulio,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

con il risultato della Pista:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

quindi, esercitando sobbalzi ben calibrati, a poco a

 

poco le castagne, più pesanti si raccolgono nel fondo,

 

mentre la bucce vengono espulse a terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questa operazione concorrono, alternandosi, tutti i

 

presenti, e sono le rappresentanti del “gentil sesso” a

 

dimostrarsi particolarmente abili nell’esercizio.

 

Ecco quindi Catlina che insegna la sua arte,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e pure nonna Desolina, anche lei a

 

collaborare al suggestivo rito,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

per addivenire alfine alla soddisfacente realizzazione

 

dell’impresa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Certamente il Pero non poteva esimersi dal

 

 

dimostrare la propria esperienza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e l’indiscussa capacità anche in questa

 

pratica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindi, per festeggiare la buona conclusione del lavoro e la soddisfazione per il risultato conseguito, non può certo mancare un momento di puro divertimento e di dimostrazione di abilità “a moda at ‘na vota”.

 

E uno dei giochi più in voga appena qualche decennio fa era il “cùrlot”, ovvero la trottola, fatta di legno, con la punta in ferro. Guardando queste immagini ci rendiamo conto dell’abilità, diremmo del virtuosismo, che richiedeva questo semplice gioco, che ora quasi quasi ci scordiamo che esista.

Chissà se qualcuno vorrà raccogliere la sfida.

 

 

 

 

Il primo a stuzzicare gli astanti è Dario, che già

 

dimostra la sua capacità, lanciando il cùrlot,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

che deve continuare a girare su se stesso il più a lungo

 

possibile:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pero osserva ….. e quindi cede alla tentazione di

 

ostentare tutta la sua perizia: la sua magia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infatti il Pero non solo si accontenta di far

 

girare il cùrlot ma, sempre mentre lo

 

stesso gira, riesce a prenderlo in mano

 

e a mantenerlo in rotazione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che soddisfazione!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ormai sono tutti stanchi per l’impegnativa giornata affrontata.

 

 

 

 

 

 

 

Ci si ritira in casa, e Pero va ad accarezzare la sua amica,

 

la capra del Celeste, felice per l’attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E poi…cala la sera.

 

 

 

E Pero, solo, non può più far altro che

 

raccogliersi con i suoi pensieri,

 

che, se lo portano malinconicamente

 

indietro nel tempo, gli fanno anche

 

ricordare le tante avventure vissute e le

 

tante piccole soddisfazioni di una vita

 

semplice ma vera:

 

 

 

una vita da uomo libero